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i principali rischi

Quali sono i principali rischi che il consumatore corre nell'acquistare pesce fresco mal conservato, oppure nel mangiare pesce crudo o nel ricongelare prodotti venduti per freschi ma in realtà decongelati?
Per quello che riguarda Il consumo di pesce crudo, pratica non molto diffusa nella cultura italiana (i frutti di mare, abitualmente mangiati crudi dagli abitanti dell'Adriatico meridionale, non sono pesci ma molluschi), è in forte crescita grazie al fatto che la cucina giapponese è sempre più di moda.
Mangiare pesce crudo comporta sicuramente un maggior rischio di intossicazioni e infezioni causate da batteri patogeni, oppure di infezioni da parte di parassiti. Tutti lo sanno, ma in pochi conoscono i reali rischi, con il risultato che, quando si consuma pesce crudo, si incrociano le dita e ci si affida sostanzialmente al caso.
Il pesce crudo può essere contaminato da diversi microrganismi che provocano infezioni o tossinfezioni, come Listeria, Escherichia coli, Salmonella, tutti batteri che provocano problemi gastrointestinali problema relativo non solo al pesce crudo, ma anche ad altri alimenti come carni, latte crudo e derivati. Raramente, e solo in soggetti particolarmente deboli come bambini e anziani, queste infezioni possono mettere in pericolo la vita.
Il rischio maggiore per chi consuma pesce crudo si chiama Anisakis
L’anisakidosi è una zoonosi provocata da larve di parassiti appartenenti a vari generi tra cui
Anisakis, Pseudoterranova, Contracoecum. Le forme adulte di questo parassita si trovano nel tratto digerente dei mammiferi marini (pinnipedi, balene e delfini) di tutto il mondo, mentre molte specie di pesci sono infestate dalle larve. Ad oggi la parassitosi è stata evidenziata in oltre 123 specie di pesci ed anche in quattro specie di cefalopodi, tra cui calamari. I gadidi (merluzzo nordico, nasello, potassolo, molo, ecc.), gli sgombri, il pesce sciabola, la rana pescatrice, il pesce San Pietro, ma anche sardine, acciughe, triglie, pagelli sono le specie più spesso infestate, mentre nei pesci piatti l’infestazione è più rara. Il numero di larve e le specie di anisakidi variano a seconda delle zone geografiche dei luoghi di pesca, anche se nessuna zona ad oggi può considerarsi priva di rischio. Nel pesce le larve del parassita, lunghe da 1 a 3 cm, di colore biancastro o giallastro, e con diametro di 0,8 mm circa si trovano spesso arrotolate in spirale nella cavità addominale, nell’intestino, sul fegato e sulle gonadi, talvolta nel muscolo.

Chi produce, commercializza o prepara per la ristorazione pesce o prodotti a base di pesce è il primo responsabile della sicurezza sanitaria degli alimenti immessi sul mercato (Reg. CE/853/04). In particolare tali prodotti non devono contenere parassiti. Questo pericolo deve essere preso in considerazione nei piani di autocontrollo sanitario (piani HACCP, Buone Pratiche di Lavorazione, tracciabilità, gestione delle non conformità). La normativa vigente prevede i
seguenti obblighi per gli operatori:
· controllo visivo,
effettuato su un numero rappresentativo di campioni, per assicurare l’assenza di parassiti visibili.
· congelamento a –20°C per almeno 24 ore per i seguenti prodotti a rischio:
- I prodotti della pesca consumati crudi o quasi crudi;
- i prodotti della pesca che hanno subito un trattamento di affumicatura a freddo, nel corso del quale la temperatura interna del prodotto non ha superato i 60° (nelle specie di aringa, salmone selvatico, sgombro, spratto); - i prodotti della pesca marinati e/o salati, se il trattamento è insufficiente a distruggere le larve (*).
Il controllo dev'essere eseguito dall'addetto, in modo continuativo, al momento dell'estrazione dei visceri e del lavaggio.
(*) Se si vuole evitare il congelamento, lavorazioni particolari, come salagione e marinatura, devono essere eseguite solo in condizioni controllate nel rispetto di specifici trattamenti e parametri. Il controllo dei filetti o dei tranci di pesce dev'essere effettuato dagli operatori durante la preparazione successiva alla sfilettatura o all'affettatura.

Il congelamento è una tecnica di conservazione che garantisce il mantenimento delle caratteristiche qualitative degli alimenti ed evita che nel prodotto procedano processi degradativi quali le rezioni enzimatiche e la crescita di microorganismi.
In pratica, attraverso l’abbassamento rapido della temperatura e la successiva conservazione al di sotto del punto di congelamento, la maggior parte dell’acqua contenuta negli alimenti si solidifica in forma di ghiaccio: in queste condizioni le reazioni degradative (che generalmente procedono in un mezzo acquoso liquido) si bloccano o riducono la loro velocità al minimo ed i microrganismi eventualmente presenti vengono “ibernati” e, in parte, muoiono.
Il congelamento non è però un mezzo di sterilizzazione: alcune forme microbiche (ad esempio le spore) sono in grado di resistere anche a temperature bassissime e, all’atto dello scongelamento, soprattutto se il prodotto viene lungamente conservato in un ambiente “tiepido” e non immediatamente consumato o cucinato, possono riprendere attività e generare ricontaminazione dell’alimento. Inoltre lo scongelamento, se anche il prodotto fosse “sterile”, avviene generalmente in un ambiente (il frigorifero, il tavolo della cucina, un contenitore per alimenti, magari il contatto con le mani del “cuoco”) ove sicuramente esiste la possibilità che siano presenti microrganismi in grado di “migrare” e dunque di ricontaminare il nostro prodotto scongelato.
È questa la ragione per la quale si consiglia di consumare o cucinare rapidamente un prodotto scongelato e, comunque, di non ricongelarlo: ibererneremmo in questo caso una carica microbica ben maggiore di quella originaria, pronta a scatenare la sua attività all’atto del nuovo scongelamento.
La cosa è un po’ diversa se il prodotto scongelato la prima volta è ingrediente di una formulazione che viene cucinata e cotta, poi rapidamente raffreddata e ricongelata: in questo caso la cottura, sempre che sia effettuata con cura, assicura una parziale sanificazione della formulazione e dunque evita ulteriori rischi.
Quindi sul piano della sicurezza non ci dovrebbero essere problemi, sempre che ovviamente ci sia di mezzo una operazione di cottura profonda (lessatura, brasatura, stufatura, frittura): si può congelare una lasagna, anche se nel suo condimento (ragù) era presente carne macinata a sua volta scongelata.
Il problema, semmai, risiede nella ingiuria qualitativa che le ripetute tecniche di scongelamento-ricongelamento determinano su alcuni caratteri sensoriali, quali la consistenza. Se prepariamo una insalata di polipo partendo da un prodotto crudo congelato, già la qualità della preparazione, dopo la cottura del polipo scongelato, non è certo equivalente a quella che si ottiene partendo da un polipo fresco. Se poi ci aggiungiamo un nuovo congelamento-scongelamento, ebbene, la consistenza da pneumatico è garantita!
Ma ovviamente, questo vale solo per alcuni ingredienti molto sensibili al congelamento, quali appunto i crostacei ed i frutti di mare o alcuni tipi di vegetali piuttosto delicati


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